Di Michela Scomazzon Galdi

***

La memoria è un valore fondamentale,

non è nostalgia del passato ma difesa e

salvataggio della vita, senso

del presente di ogni esistenza

(Claudio Magris)

 

Il girasole è uno dei migliori

 simboli della costanza

(Thomas Bulfinch)

 

Per il filo rosso di settembre, legato al colore Terra che esprime stabilità, realtà, calore, mi è sembrato perfetto “Una volta è abbastanza” (Rizzoli), primo romanzo di Giulia Ciarapica, giovane e talentuosa bookblogger e giornalista culturale de’ Il Messaggero e Il Foglio.

Il libro, il cui titolo è tratto da una famosa citazione di Mae West “Si vive una volta sola. Ma se lo fai bene una volta è abbastanza”, è un’avvincente saga familiare che ritrae un piccolo e poco conosciuto paesino delle Marche – Casette d’Ete – ritratto dall’immediato dopoguerra sino al boom economico degli anni ’60. Il romanzo ci racconta la storia dei nonni materni di Giulia Ciarapica, Giuliana e Valentino (detto “Focaracciu”), ed il rapporto forte ma conflittuale tra due sorelle: Annetta, la maggiore, ventitré anni, alta, spavalda, indipendente, con i capelli biondo cenere tagliati à la garçonne ed i rossetti vistosi; Giuliana, più piccola di cinque anni, inesperta, timorosa, inquieta “come un cucciolo che scalpita nella tana, in attesa del mondo”.

Il romanzo prende le mosse nell’Italia del 1945, liberata e riunificata, che si trova ad affrontare le difficoltà del dopoguerra. La guerra non ha risparmiato nessuno e la comunità di Casette d’Ete, specchio di tante piccole realtà italiane del tempo, è flagellata da fame e miseria ma ognuno desidera un futuro migliore.

Si lavora dall’alba al tramonto: uomini, donne, bambini ma i “casettari” non temono la “fatiga”:

“Nel silenzio di metà febbraio il gelo si infila sotto le porte, indisturbato e discreto striscia fino alle scale e risale su per la camera da letto. Si accendono le prime luci nelle case dei lavoratori: il martello già pronto, le tenaglie appoggiate sul tavolaccio di legno grezzo, e lì accanto il mastice, chiodi e grandi forbici per ritagliare modelli e pellame. Vicino e intorno alle gambe delle sedie ci sono ancora i rimasugli di cuoio dei giorni passati, ammucchiati sul pavimento insieme a un grumo di fatica e parole stanche. Qualcuno non riposa che poche ore, addosso l’odore delle scarpe e tra le mani i gesti di tutti i giorni; gli artigiani di Casette d’Ete iniziano a lavorare prima dell’alba e finiscono a notte inoltrata”.

Le Marche, che sino ad allora erano sempre vissute soltanto di agricoltura e allevamento, ora “scoprono” l’artigianato: ogni famiglia possiede una cantina e tutti diventano artigiani e realizzano scarpe. Ma lo scotto da pagare è anche il lavoro minorile:

Mentre i mariti si allacciano i grembiuli e le mogli appoggiano i piedi sui pedali delle macchinette, i ragazzini indossano i calzoni corti, mangiano un tozzo di pane con le erbe cotte e vanno a scuola. Per arrivare a Sant’Elpidio devono camminare quasi un’ora a piedi, la strada è in salita e per far prima spesso tagliano il percorso inoltrandosi nei campi. Consumati dalla fame e dal freddo, guizzano tra le sterpaglie e poi giù per la strada, la pelle delle ginocchia come un muro scrostato, e tra le pieghe la polvere bianca del sentiero; allo scoccare della mezza sgusciano via dai banchi per rotolare di corsa ai laboratori vicino a casa, correndo così veloci da sentire i talloni sulla schiena”.

Ognuno, comprese Annetta e Giuliana, desidera migliorare la propria esistenza ed il proprio futuro attraverso il lavoro. E proprio le scarpe saranno il volano per un nuovo benessere.

Le Marche sono state e sono tuttora un importante distretto calzaturiero ed anche Annetta e Giuliana, seppure in modo diverso, riescono a costruire un’azienda a carattere familiare, caratteristica d’altronde del capitalismo italiano. Oggi, delle numerose piccole imprese di tipo artigianale, ne sono sopravvissute solo alcune più solide, tra le quali la Tod’s della famiglia Della Valle.

Giulia Ciarapica, con una narrazione semplice e scorrevole, resa più “verista” anche attraverso l’utilizzo del dialetto – la “fatiga”, non la fatica – (quanti di noi nell’intimità della casa, in famiglia, usano ancora il dialetto?), ci fa entrare nella storia di un piccolo borgo marchigiano dal quale emerge un respiro nazionale: un avvincente ritratto sociale ed economico dell’Italia di quel tempo quando, per citare un famoso libro di Cesare Marchi, “eravamo povera gente”.

Attraverso la storia d’amore di Giuliana e Valentino, attraverso il rapporto forte ma conflittuale tra le due sorelle Annetta e Giuliana, attraverso le vicissitudine di un’intera comunità, emerge il ritratto di un’Italia povera, addirittura misera che, pur essendo così vicina nel tempo, abbiamo dimenticato. Un’Italia dove ci si sfama con la polenta tutti i giorni, dove si patisce il freddo, gli  abiti sono vecchi e lisi, le scarpe bucate; un Paese dove il lavoro minorile è un fatto “normale” e dove, come dice Valentino, “stemo sempre a fatigà”.

Dal dopoguerra in poi, i nostri nonni, i nostri genitori, proprio attraverso il lavoro, la “fatiga” hanno raggiunto un nuovo benessere e spesso, anche un diverso e migliore status sociale. E lo hanno raggiunto con il contributo ed il lavoro di tutta la famiglia che, come nel caso di Giuliana e Valentino, ha permesso di arrivare al boom economico degli anni ’60.  D’altronde, come scrive Giulia Ciarapica “la famiglia è tutto, tutto ciò che la vita ci ha dato per metterci alla prova. E imparare a resistere”

Lavoro e costanza, come i girasoli che si coltivano per la produzione dell’olio nelle Marche: una pianta che guardando sempre verso il sole è simbolo di costanza e positività.

Per questa storia, che mette l’accento su valori culturalmente importanti nel nostro Paese e con i quali in molti ci sentiamo in sintonia – legami familiari, radici, memoria – una volta NON può essere abbastanza. Questo romanzo infatti non finisce qui: “Una volta è abbastanza” è solo il primo volume di una trilogia e Giulia Ciarapica sta già scrivendo il secondo!

 

Una volta è abbastanza

di Giulia Ciarapica

Editore: Rizzoli

Anno Pubblicazione: Prima edizione aprile 2019

Pagine:  366

 

Libri e tè

 

 

Dove c’è il tè c’è speranza

(Arthur Win Pinero)

 

Se già seguite la mia rubrica “Cultura a colori”, sapete che considero il legame tra libri e tè un binomio “indissolubile” e che ad ogni libro che vi propongo affianco uno specifico tè.

Per il romanzo “Una volta è abbastanza vi consiglio un tè della Twinings: “Ginger”, un tè verde rinfrescante, dissetante e dall’aroma di zenzero, perfetto per settembre, mese ancora caldo. Inoltre, leggendo questa suggestiva saga familiare, dove però si fatica tanto, ci sentiamo un po’ stanchi anche noi! ;-)

Ce lo beviamo insieme nel salotto virtuale di Sognosolacolori?

Da oltre 300 anni Twinings è sinonimo di tè nel mondo e grazie ai loro Master Blender l’azienda si impegna ad offrire i migliori tè ed infusi. In un’epoca in cui si beveva solo caffè, Thomas Twining sfidò le convenzioni e iniziò a commerciare tè con le Indie Orientali. Da allora, il tè divenne la bevanda preferita in Gran Bretagna ed in tutta Europa.

Ginger fa parte di una selezione di leggeri e rinfrescanti tè verdi, impreziositi da aromi di frutta e spezie. Lo zenzero è una pianta perenne dalle proprietà anti infiammatorie e digestive. Il suo olio essenziale è tonificante, antidolorifico ed antivirale.

Curiosità: Nel 1787 Twinings sceglie il proprio logo, rimasto invariato nei secoli, che oggi è uno dei più antichi ancora in uso.

Quando servire: è ideale da sorseggiare sia dopo i pasti che nel pomeriggio. Delizioso sia caldo che freddo.

Tempo di infusione: 2 – 3 minuti.

Disponibile in: confezioni da 25 filtri.

Settembre è ancora un mese di vacanze per molti di noi. Approfittate del maggiore tempo libero per leggere “Una volta è abbastanza” di Giulia Ciarapica e non dimenticate di accompagnarlo con una bella tazza di tè Ginger della Twinings!

Buona lettura!

 

[siteorigin_widget class=”SiteOrigin_Widget_Image_Widget”][/siteorigin_widget]

Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.