Di Michela Scomazzon Galdi

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Le donne hanno sempre dovuto lottare

doppiamente. Hanno sempre dovuto portare

due pesi, quello privato e quello sociale.

Le donne sono la colonna vertebrale

della società.

(Rita Levi Montalcini)

 

Le donne mi hanno sempre sorpresa:

sono forti, hanno la speranza nel

cuore e nell’avvenire.

(Monica Vitti)

 

Sognosoloacolori a Novembre è rosso passione, colore che infonde fiducia, coraggio, vitalità ed esprime potere, ambizione, passione.

Con il rosso passione mi è sembrato perfetto proporvi “La sartoria di via Chiatamone”, romanzo d’esordio di Marinella Savino, pubblicato ad inizio 2019 da “Nutrimenti”, una casa editrice indipendente e di qualità (v. notizie nella scheda informativa).

Ancora una volta, la protagonista della storia è una donna, Carolina, forte e coraggiosa: “L’avevano chiamata Carolina. Carolina Esposito. L’etimo di Carolina è ‘donna libera’ e lei, con la sua testa, fu libera per tutta la vita. Fuori dalla sua testa, no, non fu libera mai e per niente, perché nacque e visse in un’età in cui la libertà, per una femmina, aveva poco senso. Ma di quello che accadeva fuori dalla sua testa non le importò mai nulla. Badò sempre e solo al dentro”.

Il libro ci porta indietro nel tempo. La storia raccontata prende avvio il 5 maggio del 1938, giorno in cui a Napoli c’è la parata solenne per la visita di Hitler.

Il Fuhrer è arrivato insieme al re d’Italia, per dirigersi al porto dove li accoglie in pompa magna Mussolini, il quale sfoggia con orgoglio il golfo ed il potenziale navale della città. Dalle finestre sventolano drappi e bandiere e la città è tutt’ annuccat’ a fest’. L’automobile reale di Hitler, scortata da uno stuolo di motociclisti, sfila per via Caracciolo; la città è in subbuglio, la gente alza il braccio destro urlando Heil Hitler, in mezzo al mare la Conte di Cavour si prepara a dare vita a spettacolari manovre navali.

Di fronte a tutto questo spiegamento di forze, Carolina ha la certezza che la guerra ci sarà e che inizierà presto: “si trattava di mettere al riparo tutto quello che aveva, tutta la sua vita e i suoi cari, la sua sartoria”.

Non è bella, Donna Carulì. Oggi si direbbe un “tipo”: viso diafano, occhi azzurri e vispi “agitati come un mare incazzato”. Una donna dal temperamento non docile, dai modi spicci e refrattaria alle buone maniere ma, come ha affermato Marinella Savino della sua protagonista “una donna forte, che saprà avere dolcezze insospettabili quando la vita la metterà alla prova”.

Carolina non si sposa giovane, come si usava a quei tempi; se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta zitella ma Arturo – il suo opposto, un metro e ottanta di cultura e buone maniere – riesce a farla “capitolare” a trentacinque anni, quando si trova sposata senza sapè né comm e né quann’.

Carolina comincia a tenere l’ago in mano sin da bambina: “iniziò con le pezze e finì con le sete, le trine e i merletti”. La sua gavetta comincia da Donna Rosa, la sarta di riferimento del quartiere, che prendeva guagliuncell’ int’ ‘sarturia, dove anche Carolina va ad imparare insieme ad Irene, l’amica del cuore, perché “una femmina l’ago lo doveva saper usare nella vita”. Le due ragazzine passano anni ed anni ad imparare: Irene diventa una delle ricamatrici più brave del quartiere, mentre Carolina “con una mezza dozzina di spilli è capace di dare forma ad un vestito”.

Quando Carolina comprende che da Donna Rosa non ha più nulla da imparare, decide di mettersi in proprio. Riesce a convincere la madre a darle una stanza dentro casa da dedicare alla sua sartoria ed in poco tempo sono poche le nobildonne che non diventano sue affezionate clienti.

Dopo il matrimonio, Carolina insieme a Don Arturo va a vivere in un bel palazzo a Via Chiatamone: il regalo di nozze di Arturo per la moglie. Un quarto piano senza ascensore di fronte al mare, perché Carolina per cucire non vuole la luce del sole ma la luce del mare perché “la luce azzurra non stancava gli occhi”. E poi “c’era il Vesuvio, che entrava dalle finestre della camera da letto, e Capri e il golfo, che entravano da quelle della sala da pranzo”.

Con la nuova spaziosa casa, Carolina decide di allargare la clientela: prende alcune ragazze ad aiutarla, riserva alla sartoria due stanze ed un salotto di prova per le clienti; il resto della casa per la famiglia che si sta allargando. Carolina e Arturo avranno 5 figli: la prima Anna, detta Annuccia e poi quattro maschi, quattro diavoli e un’acqua santa!

In previsione della guerra imminente, Carolina non si risparmia con il lavoro che, in quegli anni così difficili, cucendo giorno e notte, le permette di sconfiggere o, almeno di tenere a bada, una nemica che avrebbe fatto altrove molte vittime: la fame.

Grazie alla sartoria, Carolina – messi insieme centesimi su centesimi, lire su lire – riempie la cantina di cibo, quintali di cibo: maccarun’ (pasta), farina, sugna, olio, legumi secchi. Compra talmente tanto cibo che ad un certo punto i soldi che guadagna non bastano più. Allora, con il consenso di Don Arturo, porta al Monte di Pietà l’anello di fidanzamento: non lo rivedrà più, ma unendo i soldi di quel pegno con quelli del suo lavoro, riesce a stipare la cantina di ogni ben di Dio: zucchero, caffè, orzo, sapone; per mesi prepara confetture di mele, pere, fragole, arance, lamponi.

E quando finalmente la cantina è piena zeppa “da non poter contenere un altro spillo”, copre tutto con le lenzuola e vi accatasta davanti ogni cosa vecchia che ha in casa per non far vedere a nessuno – neanche al portiere Totonn’- quello che vi era stipato. Poi, appende la chiave della cantina ad un cordino di cotone: lo porterà al collo per tutti gli anni della guerra.

Così, quando Mussolini annuncia dal balcone di piazza Venezia l’entrata in guerra, “Carolina era più pronta di lui a fare quella guerra”. 

 

La sartoria di via Chiatamone, arrivato finalista alla XXXI edizione del Premio Calvino (il premio più prestigioso per gli esordienti, una grande vetrina), è un viaggio nella memoria e nella storia del nostro Paese durante i drammatici anni del secondo conflitto mondiale. Una lettura coinvolgente, interessante ed a tratti divertente, non soltanto grazie alla sua eccezionale protagonista, ma anche in virtù di un uso sapiente della lingua che ha la vivacità del parlato, nel quale si inserisce spesso il dialetto, seppure reso comprensibile anche al… lettore di Trieste! Un romanzo ricco di sensibilità femminile che tratteggia un personaggio indimenticabile, Carolina,  ispirato – come dichiarato in un’intervista dalla Savino – a sua nonna materna “una donna eccezionale che è stata fondamentale per la salvezza della sua famiglia durante i difficili tempi di guerra”.

Ma Carolina non è l’unica anima femminile di questa storia: l’altra affascinante protagonista è Napoli, città di nascita e di formazione di Marinella Savino che ha raccontato: “Sono andata via quando avevo vent’anni ma me la porto dentro dovunque io vada; se sei napoletano, ti puoi adattare altrove, ma non puoi mai dimenticare da dove vieni”. Napoli è lo sfondo storico, sociale e culturale del romanzo: i suoi colori, i sapori, gli odori ne costituiscono l’essenza.

Altra “protagonista” del romanzo è la guerra: quella vissuta dalla nonna della scrittrice e quella vissuta nel romanzo da Carolina e dalla sua famiglia. Una guerra che ha portato terrore, fame, distruzione, morte. Basti ricordare che a Napoli le incursioni aeree diventarono quotidiane; i morti erano migliaia, la città ridotta in macerie. Un giorno Luciano, uno dei figli di Carolina, insieme al suo amico Gigino, si ritrovano per strada sotto le bombe e allora cominciano a correre per trovare un rifugio. Luciano perde nella corsa anche le scarpe, troppo grandi per lui. Dopo la fine del raid, i due ragazzi escono dal ricovero di fortuna e guardandosi intorno “non si capiva dove si stava. La città aveva quasi completamente cambiato i connotati. Sulle vie corse dai loro piedi veloci era franato di tutto. Interi palazzi sbriciolati, incendiati dalle bombe. Roghi ovunque”.

Ma Napoli, come Carolina, è una città “femmina” piena di ardore e di coraggio. Alla notizia che i tedeschi avrebbero messo a ferro e fuoco la città, lasciando cenere e fango prima dell’arrivo degli alleati, tutti i napoletani – uomini, donne, bambini – insorsero: le famose “quattro giornate di Napoli”, durante le quali la città diventa un campo di battaglia. Comparirono le armi, si fecero barricate in ogni strada per cacciare i tedeschi che avevano messo in ginocchio il mondo con la capacità militare e l’uso della violenza. Ma “nessun addestramento gli aveva spiegato cosa poteva fare un popolo ridotto all’ombra di se stesso, schiantato dalla fame”. Un popolo “capace per storia di sopportare l’impossibile senza mai abbassare la testa”.

Ci vollero quattro giorni di rivoluzione, “quattro giorni di sangue e coraggio” in nome della libertà: i tedeschi furono cacciati e, alle 9.30 del 1° ottobre 1944, gli Alleati giunsero trionfanti sui loro carri armati nella città liberata: ma liberata grazie al coraggio ed al sangue dei napoletani.

Un’ulteriore anima “femminile” della storia raccontata da Marinella Savino è la famiglia. Per Donna Carulì rappresenta tutto il suo mondo: il marito Don Arturo – “senza Arturo suo, non era capace nemmeno di sentirsi viva”, i cinque figli, la sorella Luisella con il marito ed il loro figlio Mario disperso in guerra. Ma la grande, commovente generosità di Carolina le fa includere nella “sua” famiglia anche Irene, l’amica del cuore, con il marito ed i loro figli, tanto che ad un certo punto, per ospitare tutti, dargli rifugio e protezione, Carolina si ritrova in casa diciotto bocche da sfamare: ‘nu ploton’!

“La sartoria di via Chiatamone” è una storia coinvolgente che testimonia quanto, da sempre, noi donne sappiamo essere – o diventare – coraggiose per proteggere chi amiamo e quando la vita ci mette alla prova. E Carolina, simbolo della forza e dell’ingegno femminile, così “burbera” fuori ma capace di inaspettate tenerezze, è una donna che conquista il nostro cuore di donne. E ci resta dentro, come la luce di un faro.

 

La sartoria di via Chiatamone

di Marinella Savino

Editrice: Nutrimenti

Anno Pubblicazione: 2019

Pagine: 167

 

MARINELLA SAVINO è nata a Napoli e vive a Roma. La sartoria di via Chiatamone è il suo primo romanzo, finalista al Premio Calvino 2018.

NUTRIMENTI è una casa editrice indipendente e di qualità che nasce a Roma nell’autunno del 2001, diretta da Ada Carpi de Resmini e da Andrea Palombi.

Proprio in quei giorni di grande incertezza a livello globale (da poco c’era stato l’attentato alle Torri gemelle), la casa editrice Nutrimenti ha puntato ancora di più sull’importanza dei libri: guida preziosa e strumenti fondamentali per la conoscenza e la comprensione del mondo.

Fin dall’inizio la casa editrice si articola in tre settori: narrativa; saggistica (rivolta all’attualità, politica, cronaca e costume); mare, vela e nautica (per quest’ultimo settore, Nutrimenti si colloca in Italia come editore di riferimento).

La collana di narrativa Greenwich, dove è stato pubblicato anche “La sartoria di via Chiatamone”, è dedicata alla letteratura americana contemporanea, ad autori italiani ed in parte europei, sempre con una grande attenzione alla scrittura “alta” e di qualità.

 

Libri e tè

 

 

 

La strada per il paradiso passa

attraverso una teiera

(Proverbio inglese)

 

Voi che seguite la mia rubrica “Cultura a colori” sapete che ora è il momento del… tè!

Per il romanzo “La sartoria di via Chiatamone” vi consiglio l’“English Breakfast tea” di una tra le migliori marche in commercio: la Taylors of Harrogate. Questa azienda inglese a conduzione familiare, con sede nella storica città termale di Harrogate, nel bellissimo North Yorkshire Dales, è stata fondata nel 1886 da mister Charles Taylor. Il patrimonio personale di mister Taylor era costituito dall’esperienza acquisita negli anni in cui prestò la sua opera in una società londinese di tè. Il suo segreto risiedeva nello scegliere personalmente le piantagioni di tè, le materie prime e gli esperti assaggiatori che, tutt’oggi, monitorano le miscele per garantirne la qualità.

Oggi che l’azienda è cresciuta, continua ancora a mantenere i suoi valori artigianali. Le modalità con cui la Taylors produce tè – e caffè – gli ha fatto guadagnare il Royal Warrant come fornitore ufficiale del Principe di Galles.

La Taylors ha una vasta selezione di pregiati tè e spazia da tè neri selezionati al loro apice stagionale sino a tè verdi e rinfrescanti infusi di erbe. La loro gamma di tè (e caffè) è attualmente venduta in circa 35 Paesi, proposta in raffinate ed eleganti confezioni british.

L’English Breakfast tea che vi propongo, fa parte di una raffinata miscela di tè neri che provengono da due delle più famose terre dove crescono ottime piante di tè: l’India e l’Africa. Questa speciale miscela, dal colore delizioso e brillante e dal gusto ricco, ne fa un tè perfetto non soltanto per la colazione ma adatto a tutte le ore del giorno.

Curiosità: i tipici barattoli di latta dei tè Taylors sono molto ambiti dai collezionisti.

Come e quando servire: da gustare puro ma perfetto anche con limone o latte.

Tempo di infusione: 4 – 5 minuti.

Disponibile in: confezioni da 20 filtri (50 gr) oppure Barattolo in metallo da 125 gr (tè in foglie).

 

Buona lettura!

 

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Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.