Di Michela Scomazzon Galdi

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Il rosso ha l’impeto e la dignità

di un cuore intrepido

(Man Ray)

 

La creatività è contagiosa.

Trasmettila

(Albert Einstein)

 

Per salutare dicembre, ultimo mese dell’anno, non c’è colore migliore di quello scelto da Sognosoloacolori: il rosso. In particolare, ci accompagnerà una particolare tonalità di rosso, il rosso Cina: una tinta intensa, dalla luminosità satura.

Nella tradizione e nella vita quotidiana della Cina a ciascun colore sono associati determinate sensazioni e messaggi, come d’altronde accade in ogni cultura. Il rosso, che può essere considerato il loro colore nazionale – appunto rosso cina, come la loro bandiera, è un colore che si associa immediatamente al Capodanno, ricorrenza di grande importanza, che simboleggia felicità, fortuna e ricchezza. In Cina, il rosso è anche il colore del matrimonio ed il colore del quale si vestono le spose. È un colore associato sempre alle festività: fin dai tempi antichi, i cinesi utilizzavano decorazioni e lanterne rosse per decorare i luoghi di eventi, banchetti, matrimoni.

D’altronde, anche in Italia il rosso è il colore delle feste (Natale e Capodanno in particolare) e lo utilizziamo sia nell’abbigliamento che nelle decorazioni delle nostre case: un tocco di rosso non può che infonderci buonumore ed allegria!

A dicembre il rosso cina fa pendant con la creatività.

Ma che cos’è la creatività? È un dono di pochi o ce l’abbiamo tutti?

La creatività è un concetto non facile da definire. La parola deriva dal verbo “creo” che condivide con il verbo “crescere” la radice KAR che in sanscrito “KAR-TR” è colui che fa (dal niente), il creatore.

Fu lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford, morto quasi centenario (un caso?), il primo a studiare in modo sistematico la creatività:

“un insieme di fluidità di pensiero, rapidità ideazionale, sensibilità ai problemi, novità ideativa, flessibilità della mente, abilità sintetiche, analitiche, valutative, capacità di riorganizzare e ridefinire strutture concettuali complesse”.

Guilford parlò per la prima volta di “pensiero divergente”, quella forma di pensiero anticonformista, non convenzionale e più strettamente connesso con l’atto creativo. La persona con “pensiero divergente” mette in atto “un’attività combinatoria che consiste nel cogliere stimoli, idee e fenomeni già esistenti, ricombinandoli in modo nuovo e originale”. Ognuno di noi ha delle propensioni che sono uniche nella modalità di guardare ed interpretare la realtà che ci circonda. In fondo, è tutta una questione di sguardo! Ma nel cercare di definire la creatività, mi è particolarmente piaciuta questa frase di Florence Nightngale (se vi va, approfondite chi è “la signora della lanterna”, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna): “la creatività è la naturale estensione dell’entusiasmo”.

Donne colorate, non siete anche voi in sintonia con questa definizione? Io l’ho percepita molto vicina al modo di sentire della mia anima.

Questo mese, per parlarvi di rosso cina e di creatività ho fatto una bella passeggiata in libreria (una delle attività che prediligo!) ed ho scovato per voi un affasciante romanzo “Cachemire rosso”, pubblicato dall’Editrice Nord, di Christiana Moreau, pittrice e scultrice belga, appassionata di scrittura e di viaggi.

 

 

Il romanzo ci fa subito immergere nei paesaggi ricchi di fascino di uno stato dell’Asia orientale che confina a nord con la Russia ed a sud con la Cina. Un territorio coperto in gran parte da steppe, con montagne a nord e ad ovest ed il Deserto dei Gobi a sud. Con inverni molto lunghi e molto rigidi ed estati corte e poco calde, ha la più bassa densità di abitanti al mondo che, per quasi la metà, vivono nella capitale Ulan Bator, mentre un 30% è nomade e vive di allevamento. Ormai avrete capito, questa volta viaggeremo insieme in Mongolia:

In tempi normali, con l’arrivo della primavera, i nomadi smontano la yurta e attraversano a cavallo il terreno aspro della steppa. Un lungo viaggio attraverso le montagne, dove le capre potranno vivere in libertà dopo un rigido inverno e dopo aver sviluppato, nei mesi, un vello lanoso così spesso da poter sopportare le temperature estreme della steppa, quando il termometro segna -30 o persino -40 gradi. Per loro, lo scaldarsi dell’aria segna il momento della muta.

In primavera, nella piana regna il fervore. Coloro che si occupano del gregge si riuniscono al resto della famiglia. Tutti devono darsi da fare per raccogliere la preziosa fibra che si nasconde sotto il mantello di lana grezza degli animali e che, adeguatamente lavorata, produrrà il cachemire.

A dispetto del lavoro massacrante che l’attende ogni anno, nel mese di maggio, a Bolormaa piace quest’antica usanza”.

È nomade la giovane mongola Bolormaa, la protagonista di questa storia che vive nella steppa insieme ai genitori ed ai due fratelli maschi. È profondamente innamorata della terra dove è nata, che la ammalia, soprattutto in primavera, con paesaggi spettacolari:

“si tinge di un verde favoloso, punteggiato in lontananza da boscaglie scure. Le notti sono ancora molto fredde, ma le giornate sono già miti e soleggiate. Le cime delle montagne sono coperte dalla neve invernale: ne è scesa così tanta, quest’anno, che per sciogliersi impiegherà qualche settimana in più”.

La natura rifulge ovunque; l’erba della pianura è costellata di anemoni sino al lontano orizzonte, dove svettano le montagne violacee. Sopra la ragazza, l’immensità del cielo, disseminato di stelle: ciò che si vede è tutta la Via Lattea, “l’intera galassia che si apre sull’infinito”.

Con l’arrivo della primavera, i nomadi che si dedicano all’allevamento delle capre, smontano la yurta ed a cavallo attraversano la steppa dove gli animali potranno vivere in libertà. Le capre, dopo il rigido inverno, hanno sviluppato un vello così fitto che ha permesso loro di resistere alle temperature estreme della steppa. Da questo vello si ricava un filato prezioso, conosciuto anche come “la fibra dei re”: il cachemire. Con l’aiuto dei cavalli per radunare il gregge, Bolormaa e le sua famiglia si accingono ad un’usanza antica e molto faticosa: le pecore saranno pettinate singolarmente, separando la peluria interna, più pregiata, da quella esterna piena di impurità.

 

 

La ragazza è molto brava in questo lavoro, imparato dalla nonna, che permette ai nomadi la sopravvivenza in una terra difficile e dal clima ostile:

“ha sempre amato saggiare l’incomparabile delicatezza di quella nuvola bianca e leggera. Benché una materia prima del genere, molto ricercata dai grossisti, sia ciò che permette a tutta la famiglia di vivere sino alla primavera successiva, [Bolormaa] è autorizzata – grazie al permesso speciale del padre – a tenere per sé la lanugine delle prime cinque capre da lei stessa lavorata. Sa già cosa farne: un maglione da vendere a Ordos, la città dove vanno a rifornirsi gli occidentali”.

Bolormaa ha inoltre un talento speciale nell’intuire i gusti delle turiste occidentali e riesce a vendere sempre con successo i maglioni che realizza. Ora poi, ha un progetto speciale: sta provando a perfezionare la tecnica di tintura utilizzando la sua ricetta segreta, attraverso un mix di diverse piante – che poi farà essiccare – raccolte ai piedi delle montagne. Ed il colore che vuole realizzare è proprio il rosso, “il rosso più bello che ci sia!”.

Ma la giovane, nonostante l’entusiasmo per il suo progetto, è inquieta perché sa che quella vita di libertà che ama così tanto sta per terminare. I due fratelli infatti, dopo un inverno talmente gelido che ha fatto morire quasi tutte le capre, vogliono convincere il padre – sovvertendo senza vergogna la tradizione – a vendere ad un produttore cinese le poche capre rimaste. Si trasferiranno in città, trovando un lavoro e smettendo di vivere in quelle condizioni disumane a causa di cambiamenti climatici che hanno reso l’inverno in Mongolia sempre più insopportabile.

Bolormaa, disperata e con il cuore a pezzi, sa cosa significa questo imminente cambiamento:

“per loro e per le generazioni a venire, la fine di quella vita, la fine della libertà. Dovranno diventare sedentari, gente di città, e imparare a vivere dentro case di cemento simili a gabbie. Lei dovrà accettare di lavorare chiusa in un laboratorio tessile senza vedere il cielo per ore ed ore, e ogni giorno ricominciare”.

Intanto nella yurta – un luogo caldo e confortevole dove si mangia e si fa conversazione – i due fratelli, dopo un aspro litigio con il padre, al quale hanno mancato di rispetto, hanno vinto: la famiglia abbandonerà il nomadismo. Prima di lasciare l’accampamento invernale, la famiglia mangerà il tradizionale suuetei, un pasto a base di miglio fritto (cereale la cui coltivazione ben si adatta alla rigidità del clima) e di latte di yak salato (sì lo so, per i nostri gusti occidentali, questo pasto fa un po’ rabbrividire!).

 

 

La ragazza, con grande tristezza, ora si chiede “cosa resterà di questi rituali, trasmessi di generazione in generazione. Nulla. Non resterà niente, tutto andrà perduto per sempre”.

Dopo la raccolta del cachemire, che non si è rivelata soddisfacente, il capofamiglia ha svenduto in blocco le poche capre sopravvissute ad un ricco e spregiudicato allevatore cinese.

Per la famiglia di Bolormaa è arrivato il momento di cominciare una nuova vita: li aspetta un lungo viaggio per arrivare ad Ordos, dove troveranno una sistemazione e un lavoro nei numerosi laboratori “della fibra di diamante” nei quali, grazie a dipendenti sottopagati, la pregiata lana viene filata e trasformata in maglioni e sciarpe da vendere al ricco Occidente.

Durane le soste del viaggio per arrivare ad Ordos, la ragazza si mette all’opera per concretizzare la sua ricetta segreta e tingere di rosso, con i fiori e le piante raccolte, il filato di cachemire raccolto dalle sue capre. La notte la giovane mongola non riesce a dormire ed all’alba, quando si alza, avvicinandosi alla lana che era rimasta appesa ad asciugarsi alla luce delle stelle trova “una vera vampa sfavillante. Strizza gli occhi, perché ciò che ha davanti è un rosso talmente intenso da assomigliare ad un fuoco, e il contrasto con la straordinaria morbidezza del cachemire suscita sensazioni potenti e misteriose. Quel rosso così profondo, violento, colto dal calice di fiori segreti, le strappa lacrime di orgoglio. Ci è riuscita! Ha avuto pazienza ed è stata ripagata”.

 

 

Nelle successive soste del viaggio, Bolormaa – con un piccolo telaio ereditato dalla nonna – si mette a lavorare per confezionare un maglione di un magnifico rosso.

Sarà proprio quel maglione che, dopo tante avventure e vicissitudini, cambierà in meglio la vita della giovane mongola e quella di una donna italiana dai capelli rossi e fluenti conosciuta al mercato di Ordos e poi persa di vista.

Con in mano solo uno stropicciato biglietto da visita, Bolormaa farà un viaggio lunghissimo, difficile ed avventuroso: dalla Mongolia a Pechino, attraverso la transiberiana fino a Mosca, per poi arrivare finalmente in Toscana, dove vive la donna che ha comprato il suo maglione.

Questo bel romanzo ci racconta la Mongolia, una terra affascinate, sconfinata e poco conosciuta, dove la natura è magnifica e rispettata; ci narra di sconfitte e di vittorie, di sogni, di determinazione, di coraggio, di creatività, di incontri (fortuiti?), di sorellanza. Una storia dove sarà un morbidissimo maglione di cachemire ad unire – e salvare – il destino di queste due donne geograficamente così lontane: la mongola Bolormaa e l’Italiana Alessandra. D’altronde, la creatività non ha confini ed il rosso – come affermò Man Ray – ha l’impeto e la dignità di un cuore intrepido”: come quello della protagonista di questa emozionante storia, giovane, coraggiosa, dal viso dolce, la pelle ambrata e gli occhi a mandorla.

 

Cachemire rosso

di Christiana Moreau

Editore: Nord

Traduttore: Roberto Boi

Genere: Romanzo

Anno Pubblicazione in Italia: settembre 2020

Pagine: 336, brossura

 

 

Christiana Moreau

Pittrice e scultrice, vive nella provincia di Liegi  ed è sempre alla ricerca di nuovi modi per esprimere la sua creatività. Cachemire rosso è il suo primo romanzo pubblicato in Italia.

 

Libri e… 

“Vuoi che partiamo subito per la

nostra avventura”, domandò Peter

Pan, “o preferisci prendere il tè?”

“Prima il tè”, rispose Wendy.

(Peter Pan)

 

 

Ormai chi segue la mia rubrica lo sa: leggere un bel libro, accompagnato da una buona tazza di tè è un rito serio e bisogna organizzarsi bene e con la giusta predisposizione d’animo, concediamoci almeno un’ora di relax tutta per noi! Quindi, dopo aver preparato il tè (che avrete versato in una tazza, magari di porcellana, o in una bella mug colorata), accomodatevi sulla vostra poltrona preferita (oppure preferite leggere sdraiate sul divano o sul letto?) ed immergetevi nelle pagine di questo affascinante romanzo.

Per accompagnare la lettura del libro “Cachemire rosso”, vi consiglio il Keemun Tea della Moon Tea (www.moontea.it), un’azienda di Brescia che importa prodotti dalla Cina, dalle migliori piantagioni di tè, e che vengono sottoposti ad accurati controlli prima di essere commercializzati.

Ma lo sapete che in Cina esiste anche un tè rosso (che invece in Occidente è considerato tè nero)? È appunto il Keemun, chiamato anche Qimen, dal nome della cittadina da dove proviene: Quimen, nella Cina orientale, a circa 400 km da Shangai. Si tratta di un tè completamente ossidato, dal sapore dolce con decise note di tostatura, frutta secca e legno; un tè adatto per il brunch e per una colazione a base di uova secondo la tradizione anglosassone. Provatelo anche con formaggi saporiti come l’Asiago, con le ricette piccanti e con la pasticceria secca. Vi sentirete come Sua Maestà, la Regina Elisabetta, per la quale il Keemun è il tè preferito!

 

Caratteristiche

Marca: Moon Tea

Confezione: tè sfuso con packaging trasparente (con foglie ben visibili)

Tempo di infusione: circa 3 minuti (se vi piace forte: 4-5 minuti)

Temperatura acqua: 90-95° (evitare l’ebollizione)

Marca: Billy Tea

 

Curiosità

In Cina vengono prodotti tutti e 6 i tipi di tè: bianco, giallo, verde, oolong (o verdeazzurro), rosso e nero. Dobbiamo ricordarci che l’acqua per il tè NON deve mai bollire (100°)! I cinesi ritengono che l’acqua bollita sia “acqua morta”.

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Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.