Di Maria Rosa Cirimbelli
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Qui dove vivo non è terra di nebbia come a sud di Milano, dove pare che la fabbrichino; so che chi ci abita da quelle parti la apprezza, riconoscendo alla nebbia il valore terapeutico del togliere alla vista il troppo e far riposare la mente. Non posso dire di amarla o di trovare qualcosa di poetico, in quel nascondere e svelare. A me della nebbia piace solo l’odore: un sapore di pancotto che forse ho appreso da piccola, andando a casa dei nonni nella bassa bresciana. Ma in questi giorni che la nebbia è comparsa anche qui da noi, cospargendo di grigio i campi, il giardino, i mattoni rossi della casa dei vicini, ho dovuto fare i conti con un senso di sperdimento lavorativo, che mi ha profondamente colpita.
In questi ultimi mesi sto seguendo, come ufficio stampa, una realtà aziendale milanese molto complessa e affascinante. Li apprezzo moltissimo, ne condivido i valori, ne ammiro la forza organizzativa, la visione lavorativa olistica e l’impegno nel sociale. Questo progetto ha una quantità di colori così straordinaria che mi piacerebbe mostrare al mondo intero, mi ero detta con entusiasmo, pensando che non avrei faticato a coinvolgere i giornalisti. In verità, non avevo fatto i conti con la varietà di materiale umano con cui avrei dovuto confrontarmi e con un ambiente prevalentemente maschile, poco incline di suo a condividere. Così il grigio, piano piano, ha preso il sopravvento, nascondendo i colori anziché esaltarli, annebbiando la mia mente, fino a costringermi a fermarmi. Eppure, proprio in quel grigio ho trovato la strada verso la riparazione. Proprio lì ho potuto riposare, riordinare i pezzi e ritrovare i colori. Il grigio mi ha permesso di rimanere nel silenzio, mi ha cullata nel nulla. E, infine, mi ha fatto aprire finestre verso altre professioniste, che con l’ascolto e i loro buoni consigli, mi hanno aiutata a ritrovare i colori nel mio lavoro e nel mio cliente.
So per esperienza che per fare un buon progetto di comunicazione, serve un grande lavoro di riordino, organizzazione e pulizia. Si deve avere il coraggio di togliere, per arrivare proprio in quella zona grigia che aiuta a scegliere la strada migliore da intraprendere. Non è semplice, non è immediato e, il più delle volte, il cliente percepisce questo come un’intromissione e un giudizio sul lavoro svolto fino a quel momento. Ci vuole molta pazienza e molto tatto. Si deve agire su incrostazioni di comportamenti non sempre ottimali, ristabilendo priorità, imponendo programmazione.
Ph: Andrey Tikhonovskiy, Unsplash
Oltre 20 anni fa, ho scelto Geode come nome e metafora per il mio lavoro di comunicazione. Mi piace l’aspetto maieutico di questa professione: quel fare uscire valori e colori che si nascondono dentro alle realtà lavorative. Mi piaceva l’idea che, con il mio lavoro, io avrei aperto la crosta dura e grigia del geode portando alla luce il tesoro in esso contenuto. Nel tempo mi sono resa conto che tutto questo ha anche un aspetto psicologico: in aziende famigliari storiche si mettono in luce dissidi parentali, abitudini e costrizioni. In start-up si può avere la grande responsabilità di formare i manager del futuro ad una comunicazione onesta. In generale ci si deve muovere sempre con grande sensibilità, perché fare comunicazione aziendale, in fondo, è come scrivere il libro di una collettività che è formata da una miriade di colori. Ma non solo. Significa anche scegliere di non imbrattare i muri delle città con messaggi ingannevoli, non riempire i social con storytelling bugiardi. Significa avere il coraggio di scegliere parole desuete che proprio per questo tornano ad essere nuove. Significa mettere basi solide perché i brand, le aziende, le cose abbiano lunga vita, anche in un’ottica di sostenibilità. E quindi significa consegnare al futuro qualcosa di utile, che possa spiccare oltre la nebbia, e far ritrovare la strada.
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